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“Non Guardarmi, Non Ti Sento”: Comunicare Nell’Era Della Comunicazione

L’atto del comunicare presuppone che ci sia qualcuno che inizi la comunicazione (il mittente), che abbia qualcosa da comunicare (il messaggio) e che lo trasmetta in qualche modo (a voce, quindi parlando, oppure scrivendo…), che scelga, quindi, un canale attraverso il quale veicolarlo.

Perchè la comunicazione abbia un senso, vada a buon fine, è necessario che ci sia anche qualcuno a cui rivolgere il messaggio (il destinatario), il cui ruolo sarà quello di decodificarlo e comprenderlo; in altre parole, il destinatario ha il compito di ascoltare (o letto o quello che il canale scelto richiede) e, successivamente, di rispondere al messaggio, iniziando, quindi, una nuova comunicazione e trasformandosi in mittente a sua volta.

Questo lo schema base di qualunque processo di Comunicazione.

Se una delle parti viene a mancare o non adempie al proprio ruolo nel modo giusto, la comunicazione non può andare a buon fine.

Risultato: un sacco di rumore e nessuna comprensione, più o meno quello che succede fra due persone che parlano lingue differenti.

Le difficoltà più comuni che si possono riscontrare in un atto comunicativo “mal riuscito”, solitamente, riguardano la capacità di esprimersi (quindi la parte che spetta al mittente) e la capacità di ascoltare (da parte del destinatario). In mezzo, valida per entrambi, la poca attitudine a “leggere” i segnali non-verbali.

Come ce la caviamo durante le nostre conversazioni, chat, videochiamate quotidiane?

Pensiamoci un po’ su, facciamoci caso: i nostri messaggi arrivano a destinazione? Siamo davvero in grado di ascoltare, quando sta a noi, o va a finire che le nostre conversazioni sono come una partita a squash in solitaria? Ma soprattutto, siamo in grado di esprimerci adeguatamente, utilizzando il giusto tono, rispettando i tempi altrui? Inoltre, riusciamo valutare le reazioni che il nostro comportamento suscita nell’altro?

Sono interrogativi necessari, nell’era della Comunicazione.

Passiamo ore (perchè sommando tutti i minuti che vi dedichiamo si fa presto a parlare di ore) tra pc, telefonini, tablet e quant’altro; comunichiamo quotidianamente ed in maniera istantanea con persone che si trovano dall’altra parte del Mondo. E questo è meraviglioso. Ed è anche incredibile se si pensa che solo 50 anni fa avevamo sì (forse non tutti) la televisione in casa, ma ancora in bianco e nero (la TV a colori, in Italia è arrivata nel 1977!).

E’ il bello del Progresso, quello di portare innovazioni che migliorino la qualità della vita (o almeno dovrebbero), ed è attraverso di esso che l’Essere Umano sta portando avanti la propria Evoluzione, anche se l’impressione è quella che non sempre le nuove innovazioni e la loro applicabilità nel contesto sociale vadano di pari passo: spesso si finisce per capire, per integrare realmente queste due realtà solo dopo diverso tempo.

Nella realtà attuale, infatti, nonostante, sia decisamente aumentata la quantità delle nostre interazioni, non possiamo dire lo stesso della loro qualità.

Sicuramente, è necessario far riferimento a diversi fattori sociali per poter dare una spiegazione a questa realtà “inversamente proporzionale”.

Zygmunt Bauman, notissimo sociologo di fama mondiale (scomparso, ahimè, recentemente), ha definito la nostra società come “liquida”, attribuendole, quindi, le caratteristiche proprie di tutte quelle sostanze che non hanno una forma propria, ma assumono quella del recipiente che le contiene. Diversamente, infatti, la caratteristica di un corpo fluido è quella di non farsi prendere, di scorrere. E questo è ciò che distingue la nostra società di oggi.

E come dare torto al caro Zygmunt? Siamo un po’ come “particelle” che scorrono (direi corrono!) da una parte all’altra, continuamente: casa, lavoro, spesa, famiglia/bambini, casa, lavoro e così via… (mi viene in mente il video “Ray of Light” di Madonna, presente?). 

In questo contesto, continuamente accelerato, riuscire ad esprimersi bene, ascoltare, interpretare, rispettare non è affatto facile. Senza considerare il fatto che molte delle interazioni che intratteniamo sono a distanza, ovvero, attraverso l’utilizzo di un dispositivo tra gli svariati quotidianamente a nostra disposizione e quindi, senza la possibilità di confrontarci fisicamente con il nostro interlocutore (fatto che penalizza la parte non-verbale della conversazione e, quindi, la comunicazione stessa: basti pensare a quanti fraintendimenti si creano, ad esempio, parlando al telefono così come chattando).

Quindi, che fare?

Un primo passo da fare è… fare un passo indietro! 

L’Uomo, l’esemplare Homo dei nostri giorni, ha realmente disimparato ad ascoltare e ad osservare; ad utilizzare, cioè, quei preziosi strumenti che, fin da piccolo, gli hanno insegnato a comunicare ed a conoscere ciò che lo circonda, sia esso un suo simile o no. E che poi, crescendo, gli hanno permesso di conoscere anche se stesso.

Si è venuto a creare un allontanamento da una parte importante della nostra natura, quella più ancestrale ed istintiva, fatta di fisicità, di emozioni, di contatto, di sguardo.

L’Uomo-bambino necessita di sperimentare perchè è così che è portato naturalmente ad apprendere ed a costruirsi una propria identità. Attraverso il confronto con ciò che lo circonda e con i propri genitori.

Ascoltandoli ed osservandoli. Ed imitandoli a sua volta, sperimentando.

Dal punto di vista evolutivo, i bambini sono un po’ come l’ultimo modello di un’auto: appena usciti, ma già equipaggiati con le ultimissime novità (questa metafora non è mia, non ricordo da chi l’ho sentita, ma mi è sempre rimasta impressa).

Questo è il motivo per cui, ci capita di meravigliarci di fronte a un bambino di due anni che, messo a confronto col proprio nonno, risulta sapersi destreggiare meglio, con più praticità ed in maniera apparentemente “naturale”, ad esempio, giocando con un tablet o scattando una foto con lo smartphone.

Ed è vero che i bambini fanno meno fatica ad apprendere le nuove realtà virtuali di quanta non ne faccia un anziano, almeno quanto per lui sia più facile e naturale imparare a parlare una seconda lingua, rispetto ad studiarla da adulto.

Quindi, nessun pericolo che un “cucciolo di Uomo” dei nostri giorni non riesca ad imparare in tempo a comunicare attraverso le ultime novità tecnologiche.

La cosa importante da non sottovalutare, ma, anzi, da salvaguardare, invece, è la quantità di impulsi sempre maggiore ai quali sono (e siamo) esposti: il rischio è, appunto, quello di comportarci da “particelle che corrono” di qua e di là, sempre “presenti” e “connessi”, ma di un tipo di presenza e di connessione che, se non compensata, rischia di allontanarci troppo dal nostro comportamento naturale (quindi non esemplare nella “educazione alla comunicazione” del bambino).

Un modo per ovviare alla questione, è quello di preservare le nostre capacità naturali di comunicare, migliorandole ed “allenandole”. Nutrendole. Bilanciando il tempo della connessione mediatica e quello del confronto da contatto visivo. Integrando gradualmente progresso e natura di animali sociali.

Così da evitare di lasciare indietro uno degli aspetti più importanti da tramandare alle nuove generazioni.

Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.

Zygmunt Bauman

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